"Per esistere, 

attraversai smisurate stelle e spirali di lattee comete, 

varcai galassie palpitanti nel buio iridescente ove 

sprofonda l'universo, 

volai bucando il tempo e lo spazio, come calamita verso 

l'ora esatta della tua vita. 

E vidi pianeti che gli umani non ricordano più, 

e fui brillante come silice, diamante, quarzo vivente. 

Si squarciarono le nubi al mio passaggio, 

s'aprirono mari maestosi nella notte dei tempi. 

C'è in me la pietra, l'asteroide, la lava, l'acqua marina, 

in me riposa il dinosauro sepolto nei ghiacci, 

il pesce che si fece rettile, il rettile che si fece lontra, 

la lontra che si fece ghepardo, fino alla scimmia dagli 

occhi dolci. 

E sono fatto di lince, ratto, leone, tucano, giaguaro. 

E questo lungo viaggio sta finendo tra le tue braccia, 

mia amata. 

Una pallottola al centro del cuore, 

la tua bocca che grida parole che più non sento, 

e il mio corpo su una terra calpestata da un dio tradito 

e errante. 

Per te, 

ho attraversato il tempo e lo spazio per miliardi di anni, 

solo per sentire la pioggia delle tue lacrime 

cadere sul mio volto come in un miracolo, 

amor mio "

 

 

 

Charles Baudelaire

 

 

 

IL SERPENTE CHE DANZA

 

O quant’amo vedere, cara indolente,

delle tue membra belle,

come tremula stella rilucente,

luccicare la pelle!

Sulla capigliatura tua profonda

dall’acri essenze asprine,

odorosa marea vagabonda

di onde turchine,

come un bastimento che si desta

al vento antelucano

l’anima mia al salpare s’appresta

per un cielo lontano.

I tuoi occhi in cui nulla si rivela

di dolce né d’amaro

son due freddi gioielli, una miscela

d’oro e di duro acciaro.

Quando cammini cadenzatamente

bella nell’espansione,

si direbbe, al vederti, che un serpente

danzi in cima a un bastone.

 

 

 

IL VAMPIRO

 

Tu che ti insinuasti come lama nel mio cuore gemente,

tu che forte come un branco di demoni venisti a fare,

folle e ornato del mio spirito umiliato il tuo letto e regno.

Infame, a lei come un forzato alla catena, sono legato;

come alla bottiglia l’ubriacone, come alla carogna i vermi;

come al gioco l’ostinato giocatore; che tu sia maledetta!

 

Ho chiesto alla fulminea spada, allora, di conquistare la

mia libertà, ed il perfido ho pregato di soccorrere me vile.

Ahimè! La spada e il veleno, pieni di disprezzo, m’han

detto: “non sei degno che alla tua schiavitù maledetta ti

si tolga, imbecille; una volta liberato dal suo dominio, per

i nostri sforzi, tu faresti rivivere il cadavere del tuo vampiro, con i baci tuoi!"

 

 

 

LE METAMORFOSI DEL VAMPIRO

 

 

Dalla sua bocca di fragola la donna, contorcendosi come un serpente sulla brace e i seni strusciando contro i ferri del busto, lasciava colare queste parole tutte impregnate di muschio: «Ho le labbra umide e so l'arte di portare a perdizione su un letto l'antica coscienza. Asciugo ogni lagrima sui miei seni trionfanti e faccio sì che i vecchi ridano come i bambini. Chi mi vede nuda e senza veli, vede la luna, il sole, le stelle ed il cielo. Sono, caro sapiente, così dotta in voluttà, quando fra le braccia temute soffoco un uomo, o quando, timida e libertina, fragile e vigorosa, abbandono ai suoi morsi il mio seno, che, su questi materassi turbati, impotenti gli angeli si dannerebbero per me.»

 

Poi che ella ebbe succhiato tutto il midollo delle mie ossa, mi volsi languidamente verso di lei per darle un ultimo bacio: ma non vidi più che un otre viscido e marcescente. Chiusi gli occhi, preso da un freddo terrore; e quando li riapersi alla luce, al mio fianco, in un luogo del gran manichino che sembrava aver fatto provvista di sangue, tremavano confusamente pezzi di scheletro, stridendo come quelle banderuole o insegne appese a un ferro che il vento fa oscillare nelle notti d'inverno.

 

 

 

 

SPLEEN

 

 

Quando il cielo basso è greve come un coperchio

Sullo spirito che geme preda di noie ininterrotte,

E abbracciando l’orizzonte in un unico cerchio

Versa su di noi un giorno nero più triste della notte;

 

 

 

Quando la terra è trasformata in una cella umida,

E la Speranza, come un pipistrello smarrito,

Urta i muri con la sua ala timida

E sbatte la testa sul soffitto imputridito;

 

 

 

Quando la pioggia distendendo i suoi lunghi filamenti

 

Di una immensa prigione imita le grate,

E un muto popolo di ragni ripugnanti

In fondo ai nostri cervelli tende le sue reti,

 

 

 

Improvvisamente delle campane saltano con furia

 

E scagliano verso il cielo un urlo agghiacciante,

Come spiriti erranti e senza patria

Che si mettano a gemere ostinatamente.

 

 

 

- E cortei funebri, senza tamburi né musica,

Lenti mi sflilano nell’anima; la Speranza, vinta,

Piange e l'atroce Angoscia, dispotica,

Sul mio cranio reclino il suo nero vessillo vi pianta.

 

 

 

Spleen -LXXVII-

 

 

Son come il re d'un regno dove non fa che piovere,

un re fiacco e decrepito, sebbene ricco e giovane,

che, spregiando degli ai la servile commedia,

coi suoi cani o con altri animale s'attedia.

Non v'è caccia che basti a svagarlo, o falcone,

o massacro di popolo davanti al suo balcone.

Fin l'agra cantafavola del giullare più amato

non spiana la sua fronte di crudele malato.

Nel letto a gigli d'oro, come in funebre arca,

giace, mentre le dame, vaghe d'ogni monarca,

si esibiscono invano nude fra velo e velo

per cavargli un sorriso dalle labbra di gelo.

Neppure il suo privato alchimista ha saputo

spremergli dalle fibre il morbo sconosciuto,

e in quei bagni di sangue, retaggio dei romani,

e suprema senile risorsa dei sovrani,

riscaldargli le esamini vene, nella cui rete

cola invece del sangue l'acqua verde del Lete.

 

 

- Versione Originale -

 

 

Je suis comme le roi d'un pays pluvieux,

Riche, mais impuissant, jeune et pourtant très vieux,

Qui, de ses précepteurs méprisant les courbettes,

S'ennuie avec ses chiens comme avec d'autres bêtes.

Rien ne peut l'égayer, ni gibier, ni faucon,

Ni son peuple mourant en face du balcon.

Du bouffon favori la grotesque ballade

Ne distrait plus le front de ce cruel malade;

Son lit fleurdelisé se transforme en tombeau,

Et les dames d'atour, pour qui tout prince est beau,

Ne savent trouver d'impudique toilette

Pour tirer un souris de ce jeune sqelette.

Le savant qui lui fait de l'or n'a jamais pu

De son être extirper l'élément corrompu,

Et dans ces bains de sang qui des Romains nous viennent,

Il n'a su rèchauffer ce cadavre hèbètè

Où coule au lieu de sang l'eau verte du Lèthè.

 

 

 

Spleen -LXXVIII-

 

 

Quando il ciel basso e grave pesa come un coperchio

sull'anima che geme, da lunghi tedi oppressa,

e colma l'orizzonte, abbracciandone il cerchio,

d'un lume bigio, triste più della notte stessa;

 

quando si fa la terra un chiuso umido speco

dave va la Speranza, sbattendo negli assiti

con l'ali sue ritrose di pipistrello cieco,

o picchiando la testa contro i tetti marciti;

 

quando la pioggia stende i suoi sbiechi ricami,

imitando le grate d'una immensa bastiglia,

e una torma silente di tarantole infami

in fondo ai nostri cerebri mille reti aggroviglia;

 

d'un tratto furibonde campane si scatenano,

e contro il cielo levano un cupo urlo di morte,

come anime al bando, raminghe anime in pena,

che senza requie gemano dietro le nostre porte.

 

E lunghi lenti feretri m'attraversano l'anima

senza un rullo, una musica; singhiozza prigioniera

la Speranza; l'Angoscia sul mio riverso cranio

pianta, esosa e feroce, la sua nera bandiera.

 

 

- Versione Originale -

 

 

Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle

Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,

Et que de l'horizon embrassant tout le cercle

Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits;

 

Quand la terre est changée en un cachot humide,

Où l'Espérance, comme une chauve-souris,

S'en va battant les murs de son aile timide

Et se cognant la tête à des plafonds pourris;

 

Quand la pluie étalant ses immenses traînées

D'une vaste prison imite les barreaux,

Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées

Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,

 

Des cloches tout à coup sautent avec furie

Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,

Ainsi que des esprits errants et sans patrie

Qui se mettent à geindre opiniâtrement.

 

-Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,

Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,

Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique,

Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.

 

 

 

 

 

LA MORTE DEGLI AMANTI

 

 

Avremo letti ricolmi di lievi odori,

Divani profondi come avelli,

E, sopra le mensole, strani fiori,

Dischiusi per noi sotto cieli più belli.

 

A gara, consumando i loro ultimi ardori

I nostri cuori saranno come due grandi torce,

Che rifletteranno il loro duplice fulgore

Nei nostri spiriti, specchi gemelli.

 

Una sera di rosa e azzurro mistico,

Ci scambieremo un bagliore unico,

Come un lungo singhiozzo, carico di addii;

 

E più tardi un angelo, schiudendo le porte,

Verrà a rianimare, fedele e gioioso,

Gli specchi opachi e le fiamme morte.

 

- Versione Originale -

 

 

Nous aurons des lits pleins d'odeurs légères,

Des divans profonds comme des tombeaux,

Et d'étranges fleurs sur des étagères,

Écloses pour nous sous des cieux plus beaux.

 

Usant à l'envi leurs chaleurs dernières,

Nos deux cœurs seront deux vastes flambeaux,

Qui réfléchiront leurs doubles lumières

Dans nos deux esprits, ces miroirs jumeaux.

 

Un soir fait de rose et de bleu mystique,

Nous échangerons un éclair unique,

Comme un long sanglot, tout chargé d'adieux;

 

Et plus tard un Ange, entr'ouvrant les portes,

Viendra ranimer, fidèle et joyeux,

Les miroirs ternis et les flammes mortes.

 

 

 

La Morte dei Poveri

 

 

Ahimè, solo la Morte fa vivere e consola;

è il porto a cui tendiamo, superstite miraggio

che, come un ricco balsamo, la stanchezza c'invola,

e ci arma fino a sera di forza e coraggio.

 

Attraverso la pioggia, la neve e la gragnuola

è il fanale che illumina il notturno viaggio;

l'osteria che le guide segnalano, e che sola

giaciglio ci promette, e seggiola, e foraggio.

 

E' l'Angelo che versa con magnetiche dita

il sonno, e che benigno all'estasi c'invita,

e rimbocca le coltri dei pitocchi sparuti.

 

E' gloria degli dei, è mistico granaio,

patria antica del povero e suo salvadanaio,

grande portico aperto sui Cieli sconosciuti!

 

 

- Versione Originale -

 

 

C'est la Mort qui console, hélas! et qui fait vivre;

C'est le but de la vie, et c'est le seul espoir

Qui, comme un élixir, nous monte et nous enivre,

Et nous donne le cœurs de marcher jusqu'au soir;

 

A travers le tempête, et la neige, et le givre,

C'est la clarté vibrante à notre horizon noir;

C'est l'auberge fameuse inscrite sur le livre,

Où l'on pourra manger, et dormir, et s'asseoir,

 

C'est un Ange qui tient dans ses doigts magnétiques

Le sommeil et le don des rêves extatiques,

Et qui refait le lit des gens pauvres et nus;

 

C'est la gloire des Dieux, c'est le grenier mystique,

C'est la bourse du pauvre et sa patrie antique,

C'est le portique ouvert sur les Cieux inconnus!

 

 

 

 

 

Le Litanie di Satana

 

 

Tu, più bello e sapiente d'ogni altro cherubino,

dio privato di lodi, tradito dal destino,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu, Principe in esilio, a cui fu fatto torto,

ma che, vinto, ogni volta più forte sei risorto,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu, onnisciente, gran re del mondo sotterraneo,

taumaturgo di tutte le sofferenze umane,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che sino ai lebbrosi e ai reprobi riveli,

figliò quell' incantevole pazza che è la Speranza,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che al proscritto insegni lo sguardo calmo e altero

cha ai piedi del patibolo danna un popolo intero,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che conosci gli invidi ricetti di sotterra,

dove il geloso Iddio i diamanti rinserra,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che con occhio chiaro discerni i chiusi valli

dov'è sepolto il cieco popolo dei metalli,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che con l'ampia mano nascondi i precipizi

al sonnanbulo errante in cima agli edifizi,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che all'ebbro, travolto da notturne vetture,

rendi d'incanto elastiche le aride giunture,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu, che per consolare l'uomo stanco che geme,

c'insegnasti ad intridere zolfo e salnitro insieme,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che un suggello imprimi, o complice sottile,

sulla fronte del Credo implacabile e vile,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che a ogni cuore e occhio di fanciulla procacci

il culto delle piaghe e il gusto degli stracci,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu, bordone dei profughi, torcia degli inventori,

confessor d'impiccati e di cospiratori,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

Tu che adotti i reietti figli che, nella ria

sua collera, Iddio Padre dell' Eden cacciò via,

 

pietà, Satana, della lunga miseria mia!

 

 

 

Abele e Caino

 

 

Razza d'Abele, eccoti il pane, il vino

il sonno: Dio ti sorride indulgente.

 

Striscia nel fango, razza di Caino,

vivici e muorici miseramente.

 

Razza d'Abele, l'incenso che offri

alle nari degli angeli si sposa.

 

O razza di Caino, quel che soffri

non avrà dunque mai fine nè posa?

 

Razza d'Abele, guarda: ti fiorisce

ogni seme, le mandrie sono sane.

 

O razza di Caino, le tue viscere

urlano fame, come un vecchio cane.

 

Razza d'Abele, scaldati che annotta,

scaldati il ventre all'avito camino.

 

Tu, povero sciacallo, in una grotta

trema di freddo, razza di Caino!

 

Razza d'Abele, cresci, fa' all'amore:

anche il oro prolifica, vedi!

 

Tu, razza di Caino, ardente cuore,

guai se a voglie si vaste ti concedi!

 

Razza d'Abele, al par che nelle scorze

la cimice, tu pascoli e rifigli!

 

O razza di Caino, con le forze

ultime dietro trascinati i figli!

 

Ah, farai grassa con la tua carogna,

razza d'Abele, la fumante terra!

 

O razza di Caino, ti bisogna

lottare ancora a compier la tua guerra.

 

Razza d'Abele, onta su te: la spada

non sa più con lo spiedo contrastare!

 

O razza di Caino, fatti strada

al cielo e fanne Dio precipitare!

 

 

- Versione Originale -

 

 

Race d'Abel, dors, bois et mange;

Dieu te sourit complaisamment.

 

Race de Caïn, dans la fange

Rampe et meurs misérablement.

 

Race d'Abel, ton sacrifice

Flatte le nez du Séraphin!

 

Race de Caïn, ton supplice

Aura-t-il jamais une fin?

 

Race d'Abel, vois tes semailles

Et ton bétail venir à bien;

 

Race de Caïn, tes entrailles

Hurlent la faim comme un vieux chien.

 

Race d'Abel, chauffe ton ventre

A ton foyer patriarcal;

 

Race de Caïn, dans ton antre

Tremble de froid, pauvre chacal!

 

Race d'Abel, aime et pullule!

Ton or fait aussi des petits.

 

Race de Caïn, coeur qui brûle,

Prends garde à ces grands appétits.

 

Race d'Abel, tu croîs et broutes

Comme les punaises des bois!

 

Race de Caïn, sur les routes

Traîne ta famille aux abois.

 

Ah! race d'Abel, ta charogne

Engraissera le sol fumant!

 

Race de Caïn, ta besogne

N'est pas faite suffisamment;

 

Race d'Abel, voici ta honte:

Le fer est vaincu par l'épieu!

 

Race de Caïn, au ciel monte,

Et sur la terre jette Dieu!

 

 

 

Il Canto Dell' Odio  (di L. Stecchetti)

 

 

Quando tu dormirai dimenticata

Sotto la terra grassa

E la croce di Dio sarà piantata

Ritta sulla tua cassa,

 

Quando ti coleran marcie le gote

Entro i denti malfermi

E nelle occhiaie tue fetenti e vuote

Brulicheranno i vermi,

 

Per te quel sonno che per altri è pace

Sarà strazio novello

E un rimorso verrà freddo, tenace,

A morderti il cervello.

 

Ma non sei tu che agli ebbri ed ai soldati

Spalancasti le braccia,

Che discendesti a baci innominati

E a me ridesti in faccia?

 

Ed io t'amavo, ed io ti son caduto

Pregando innanzi e, vedi,

Quando tu mi guardavi, avrei voluto

Morir sotto a' tuoi piedi.

 

Perchè negare - a me che pur t'amavo -

Uno sguardo gentile,

Quando per te mi sarei fato schiavo,

Mi sarei fatto vile?

 

Perchè m'hai detto no quando carponi

Misericordia chiesi,

E sulla strada intanto i tuoi lenoni

Aspettavan gl'Inglesi?

 

Hai riso? Senti! Dal selèocro cavo

Questa tua rea carogna,

Nuda la carne tua che tanto amavo

L'inchiodo sulla gogna,

 

E son la gogna i versi ov'io ti danno

Al vituperio eterno,

A pene che rimpianger ti faranno

Le pene dell'Inferno.

 

Qui rimorir ti faccio, o maledetta,

Piano a colpi di spillo,

E la vergogna tua, la mia vendetta,

Tra gli occhi ti sigillo.

 

 

 

La sestina del Vampiro (N. Gaiman)

 

"Aspetto qui ai confini del sogno,

avvolto nelle ombre. L'aria buia sa di notte,

così fredda e rigida, e aspetto il mio amore.

La luna ha sbiancato la sua lapide.

Lei verrà e allora ci aggireremo in questo sciocco mondo

tornati alle tenebre a al richiamo del sangue.

È un gioco solitario, la ricerca del sangue,

ma un corpo giovane ha tutto il diritto di sognare

e io non vi rinuncereni per niente al mondo.

La luna ha sbiancato l'oscurità della notte.

Resto nell'ombra, a fissare la sua lapide:

Risorgi mio amore... Oh! Risorgi?

Ti ho sognata mentre dormivo e l'amore

mi è più caro della vita... del sangue stesso!

Il sole mi ha cercato nelle profondità della tomba,

poi mi sono svegliato ai vapori della notte

e il tramonto mi ha spinto a uscire nel mondo.

Da secoli vago solitario nel mondo

dispensando un sembiante dell'amore...

un bacio rubato, poi di nuovo nella notte

pago della vita e del sangue.

E al mattino sono soltanto un sogno

un corpo freddo che gela sotto una pietra.

Ti ho detto che non avrei fatto del male.

Sono fatto di pietra,

per lasciarti in pasto al tempo e al mondo?

Ti ho offerto una verità al di là dei tuoi sogni

mentre tu potevi offrirmi solo il tuo amore.

Ti ho detto che andava tutto bene, e che il sangue

ha un sapore più dolciastro sulle ali della notte.

A volte i miei amori si alzano e camminano di notte...

A volte giacciono per sempre sotto una pietra

senza mai conoscere i piaceri del letto e del sangue,

o la dolcezza di una passeggiata tra le ombre del mondo;

e marciscono, invece, in mezzo ai vermi.

Oh! Amore mio,

sussurravano che eri risorta, nel mio sogno.

Ti ho aspettata tutta la notte vicino alla tomba

ma tu non vuoi lasciare il tuo sogno per cercare il sangue.

Buonanotte, amore mio.

Ti avevo offerto il mondo."

 

 

 

Mio dolce amor quando riposerai   ( H. Heine )

 

nella tua tomba, nell'oscura tomba,

 

allora io scenderò a te vicino,

 

e stretto stretto a te m'avvinghierò.

 

 

 

Ti bacio, t'abbraccio e forte ti stringo

 

te mia silenziosa e fredda e pallida!

 

Esulto, fremo, piango dolcemente,

 

divenuto anch'io un cadavere.

 

 

 

Mezzanotte scocca, sorgono i morti,

 

avanzan danzando in schiere leggere;

 

noi invece restiamo nella tomba,

 

e io riposo tra le tue braccia.

 

 

 

Sorgono i morti, il dì del giudizio

 

tutti richiama al premio o al castigo;

 

ma ciò a noi non importa per nulla,

 

e restiamo ambedue abbracciati.

 

 

 

 

 

Guillame Apollinaire

 

 

 

Nel lago dei tuoi occhi assai profondo

 

si scioglie il mio povero cuore a fondo

 

lo dissolvono laggiù

 

nell'acqua di amore e di follia

 

ricordo e malinconia.

 

 

 

 

La dama che dorme (E.A.Poe)

 

 

 

A mezzanotte - nel mese di giugno -

sto sotto la mistica luna.

Un oppiato vapore, livido, rugiadoso

si diffonde dai suoi orli dorati,

distilla gocciole che cadono lievi

sulla placida cima del monte;

e musicale e assonnato s'insinua

nella Valle Universale.

Sonnecchia sulla tomba il rosmarino;

il giglio si china sull'onda;

cingendosi di nebbia il petto,

il rudere si sgretola nella quiete;

ma guarda! Il lago, simile al Lete,

par che voglia ora cedere al sonno

e non più ridestarsi per il mondo.

Dorme ogni bellezza! - Ed ecco! là giace

Irene, con i sui destini!

 

O bella signora, è bene

che sia così aperta alla notte quella dinestra?

Le scherzose aure, dalle cime degli alberi,

ridendo s'insinuano per la grata -

aure incorporee, estrosa folla stregonesca,

che di là e di qua svolano per la tua stanza

e agitano le cortine del tuo baldacchino

con moto eguale, lugubremente,

sopra alle chiuse palpebre orlate di ciglia

sotto cui giace nel sonno la tua anima ascosa;

sì che per le pareti e lungo il pavimento

s'alzano e calano le ombre come spettri.

O dolce signora, nessun timore tu provi?

Perché qui giaci e sogni?

Certo venisti da remoti mari,

meraviglia recando a queste fronde!

Strano è il tuo pallore, strana la tua veste!

Strane, ancor più le tue trecce lunghe,

a questo silenzio così solenne!

 

Dorme la bella Dama. Oh, sia il tuo sonno,

così com'é ostinato, altrettanto profondo!

Il cielo l'abbia in sua sacra custodia!

Questa stanza mutata in una più santa,

questo letto in uno più mesto,

io prego ch'ella qui giaccia per sempre,

serrati per sempre i begli occhi,

mentre bianchi fantasmi le passano d'accanto!

 

Dorme, l'amor mio. Oh, quel sonno

pertinace sia altrettanto profondo!

Le siano lievi i vermi d'intorno!

Lontano, nell'antica oscura selva

per lei si dischiuda qualche alta volta,

un nobile sepolcro, che abbia spesso dispiegato

i suoi neri, alati e fluttuanti cortinaggi,

quasi in trionfo, sugli stemmati drappi,

nei funebri riti resi al suo alto lignaggio:

un solitario, remoto sepolcro,

alla cui porta ella un tempo, fanciulla,

scagliava i suoi ciottoli per gioco,

dalla cui porta mai più un'eco farà risuonare,

con un brivido pensando - figlia del peccato! -

che fossero i morti a gemere la dentro.

 

 

 

 

Il verme trionfante (E.A.Poe)

 

 

Guardate! E' serata di gala

in questi desolati recenti anni!

Una schiera d'angeli alati, avvolti

nei veli, inzuppati di lacrime

siede a teatro ed assiste

a un dramma di speranze e timori,

mentre l'orchestra sospira, a sussulti,

la musica delle sfere.

 

Mimi, a immagine del Dio di lassù,

bisbigliano e parlottano sottovoce,

e di qua, di là volteggiando abilmente -

marionette che vanno e che vengono,

al cenno d'immani esseri informi,

che muovono in su e in giù gli scenari,

scuotendo dalle loro ali di condor

l'invisibile Sventura!

 

Quel dramma variopinto - oh, siatene certi -

non sarà dimenticato!

Col suo Fantasma tallonato senza posa

da una turba che non riesce ad acciuffarlo,

attraverso un girotorno che sempre ritorna

allo stesso identico punto,

e con gli ingredienti di Follia, di Peccato

e d'Orrore ad animar l'intera vicenda.

 

Ma fate attenzione! Tra la calca dei mimi

s'insinua un mostro che striscia!

Rosseggia di sangue, s'attorce e si snoda,

viene avanti dal deserto della scena!

S'attorce! - s'attorce! Tra fitte mortali

i mimi gli fanno da pasto,

e i serafini piangono per quel sangue marcito,

di cui s'imbeve il dente del mostro.

 

Spenti - ora i lumi sono spenti!

E sopra a ogni sbigottita forma

s'abbassa il sipario, drappo funereo,

come una raffica di tempesta,

mentre gli angeli, pallidi e ansanti,

levandosi e svelandosi, annunciano

che quel dramma s'intitola «L'uomo»,

e che l'eroe n'è il Verme Trionfante 

 

 

 

 

 

La Città nel Mare

 

 

Ecco! Morte a se stessa ha innalzato

un trono in una strana città solitaria,

laggiù nel nebuloso Occidente,

dove buoni e perversi, i peggiori ed i migliori

discesero nel loro perenne riposo.

Là palazzi e santuari e alte torri

(torri, addentate dal tempo, che non tremano!)

a null'altro somigliano che sia nostro.

D'intorno, dimenticate da ogni vento,

sotto al cielo rassegnate,

ristagnano le acque maliconiche.

 

Non un raggio discende dal sacro cielo

sulla lunga notte di quella citta;

ma un chiarore dal livido mare

discorre in silenzio su per le torri -

balugina, più lontano, dugli alti pinnacoli,

su cupole e guglie - sulle sale regali -

sui templi - su babiloniche mura -

su ombrosi padiglioni abbandonati,

con l'edera scolpita e i fiori di pietra -

su molti e molti mirabili altari,

sui cui inghirlandati fregi

le viole si intrecciano con la vite.

 

Rassegnate sotto al cielo

ristagnano le acque malinconiche.

E in tal modo le torri ed ombre lì si confondono,

che tutto è lì come pèndulo nell'aria,

mentre che da una superba torre della città

Morte giganteggia e guarda in giù.

 

Templi disserati, tombe scoperchiate

sbadigliano al livello di quel baluginio di onde;

ma nè ricchezze che là scintillano

nell'occhio di diamante di ciascun idolo -

nè i morti gaiamente ingioiellati

tentano le acque a uscir dal loro letto;

giacchè nessun moto increspa, ahimè,

quel deserto di cristallo -

nessun'onda si gonfia ad annunciare

che un vento s'è forse levato

su qualche remoto, più felice mare -

nè flutto dice che venti si siano levati

su mari meno orridamente calmi.

 

Ma ecco, un fremito è nell'aria!

L'onda - laggiù un movimento!

quasi avessero le torri spinto da parte,

o che le loro cime un labile vuoto

avessero lasciato nel cielo velato.

Un bagliore più rosso ora accende le onde -

più rado e più fievole il respiro delle ore -

e quando, infine, fra noi terrestri gemiti,

più giù, più giù quella città si poserà,

l'Inferno, insorgendo da mille troni,

le farà riverenza.

 

 

 

Spiriti dei Morti

 

 

I

 

Starà la tua anima disperata e sola

fra i bui pensieri d'una grigia lapide

Non uno, in tanta folla, verrà a spiarti

in quella tua più segreta ora.

 

II

 

Non dir nulla in quella solitudine

che non è però desolazione - perchè, allora,

gli spiriti di quelli che in vita

ti precedettero incontrerai, nella morte,

di nuovo intorno a te - ed il loro volere

porrà in ombra il tuo: ma tu, non dir parola.

 

III

 

La notte t'apparirà accigliata e greve -

e le stelle non più occhieggeranno

dai loro alti troni celesti, con luce

di vaghe speranze offerte ai mortali -

ma le loro rosse sfere, prive d'ogni raggio,

al tuo languente occhio si mostreranno

come incendio e ardore

che per sempre t'investiranno.

 

IV

 

Avrai pensieri che non potrai bandire -

visioni che mai più svaniranno -

che mai più da te saran disgiunte -

come le gocce di rugiada dall'erba

 

V

 

La brezza - l'alito di Dio - è caduta -

e la nebbia sulla collina -

un'ombra - un'ombra che non si squarcia,

è un simbolo, è un segno -

già per come incombe sugli alberi,

mistero dei misteri.

 

 

 

Ollie McGee e Fletcher McGee   

 

(di  Edgard Lee Masters)

 

 

Ollie McGee

 

Avete visto aggirarsi per il villaggio

un uomo con gli occhi bassi e il viso scarno?

E' mio marito che, per una segreta crudeltà

inconfessabile, mi tolse giovinezza e bellezza;

talché alla fine, rugosa e coi denti ingialliti,

senza più orgoglio, in umiltà vergognosa,

sprofondai nella tomba.

Ma sapete che cos'è che rode il cuore a mio marito?

L'aspetto di ciò che ero, l'aspetto di ciò che mi ha reso!

Ciò lo sta trascinando al luogo dove io giaccio.

Nella morte, perciò, son vendicata.

 

 

 

 

Fletcher McGee

 

Mi prese la forza minuto per minuto,

mi prese la vita ora per ora,

mi risucchiò come una luna febbricitante

che fruga il mondo nel suo giro.

I giorni passarono come ombre,

i minuti rotearono come stelle.

Mi prese dal cuore la pietà,

e la trasformò in sorrisi.

Era un pugno di creta di scultore

e i miei segreti pensieri erano dita:

volavano dietro la sua fronte pensosa

e la segnavano di una pena profonda.

Le sigillarono le labbra, le afflosciaron le guance,

e le gonfiarono gli occhi di dolore.

La mia anima era entrata nella creta,

lottando come una schiera di diavoli.

Non era mia, non era sua;

lei la teneva, ma queste lotte

le modellarono un volto che detestava,

un volto che io temevo di vedere.

Battei alle finestre, scossi i paletti.

Mi nascosi in un angolo...

e allora morì e mi perseguitò col suo spettro,

e mi diede la caccia per tutta la vita.

 

 

 

Chanson dans le sang (J. Prévert)

 

 

Il y a de grandes flaques de sang dans le monde

 

où s'en va-t-il tout ce sang répandu

 

est-ce la terre qui le boit et qui se saoule

 

drôle de soûlographie alors

 

si sage…si monotone…

 

Non la terre ne se saoule pas

 

la terre ne tourne pas de travers

 

elle pousse régulièrement sa petite voiture ses quatre saisons

 

la pluie…la neige…

 

la grêle…le beau temps…

 

jamais elle n'est ivre

 

c'est à peine si elle se permet de temps en temps

 

un malheureux petit volcan

 

Elle tourne la terre

 

elle tourne avec ses arbres…ses jardins…ses maisons…

 

elle tourne avec ses grandes flaques de sang

 

et toutes les choses vivantes tournent avec elle et saignent…

 

Elle elle s'en fout

 

la terre

 

elle tourne et toutes les choses vivantes se mettent à hurler

 

elle s'en fout

 

elle tourne

 

elle n'arrête pas de tourner

 

et le sang n'arrête pas de couler…

 

Où s'en va-t-il tout ce sang répandu

 

le sang des meurtres…le sang des guerres…

 

le sang de la misère…

 

et le sang des hommes torturés dans les prisons…

 

le sang des enfants torturés tranquillement par leur papa et leur maman…

 

et le sang des hommes qui saignent de la tête

 

dans les cabanons…

 

et le sang du couvreur

 

quand le couvreur glisse et tombe du toit

 

Et le sang qui arrive et qui coule à grand flots

 

avec le nouveau-né…avec l'enfant nouveau…

 

la mère qui crit…l'enfant pleure…

 

le sang coule…la terre tourne

 

la terre n'arrête pas de tourner

 

le sang n'arrête pas de couler

 

Où s'en va-t-il tout ce sang répandu

 

le sang des matraqués…des humiliés…

 

des suicidés…des fusillés…des condamnés…

 

et le sang de ceux qui meurent comme ça…par accident

 

Dans la rue passe un vivant

 

avec tout son sang dedans

 

soudain le voilà mort

 

et tout son sang dehors

 

et les autres vivants font disparaître le sang

 

ils emportent le corps

 

mais il est têtu le sang

 

et là où était le mort

 

beaucoup plus tard tout noir

 

un peu de sang s'étale encore…

 

sang coagulé

 

rouille de la vie rouille du corps

 

sang caillé comme le lait

 

comme le lait quand il tourne

 

quand il tourne comme la terre

 

comme la terre qui tourne

 

avec son lait…avec ses vaches…

 

avec ses vivants…avec ses morts…

 

la terre qui tourne avec ses arbres…ses vivants…ses maisons…

 

la terre qui tourne avec les mariages…

 

les enterrements…

 

les coquillages…

 

les régiments…

 

la terre qui tourne et qui tourne

 

avec ses grands ruisseaux de sang.

 

 

 

Caino

 

(di Giuseppe Ungaretti)

 

 

Corre sopra le sabbie favolose

E il suo piede è leggero.

 

O pastore di lupi,

Hai i denti della luce breve

Che punge i nostri giorni.

 

Terrori, slanci,

Rantolo di foreste, quella mano

Che spezza come nulla vecchie querci,

Sei fatto a immagine del cuore.

 

E quando è l’ora molto buia,

Il corpo allegro

Sei tu fra gli alberi incantati?

 

E mentre scoppio di brama,

Cambia il tempo, t’aggiri ombroso,

Col mio passo mi fuggi.

 

Come una fonte nell’ombra, dormire!

 

Quando la mattina è ancora segreta,

Saresti accolta, anima,

Da un’onda riposata.

 

Anima non saprò mai calmarti?

 

Mai non vedrò nella notte del sangue?

 

Figlia indiscreta della noia,

Memoria, memoria incessante,

Le nuvole della tua polvere,

Non c’è vento che se la porti via?

 

Gli occhi mi tornerebbero innocenti,

Vedrei la primavera eterna

 

E, finalmente nuova,

O memoria, saresti onesta.